CONTRIBUTI


DOJO KUN, inserito da utente del sito (ftaiji67@gmail.com)
LE CINQUE REGOLE DEL KARATE. 1° principio: DOBBIAMO IMPEGNARCI A RAGGIUNGERE LA PERFEZIONE DEL CARATTERE.

Un’usanza dopo l´allenamento nei dojo giapponesi, che non si trova quasi mai nei dojo occidentali, è la recitazione del KUN o codice etico alla fine di una seduta di allenamento. G. W. Nicol, nel suo libro Moving Zen: Karate as a Way to Gentleness, si riferisce a questa usanza e alla sua connotazione nel karate-do giapponese in questo modo:"I precetti sono sempre pronunciati con forza e mai sussurrati con poca sincerità o credo. Così come i movimenti diventano automatici e i riflessi condizionati, le semplici verità di queste citazioni penetrano la mente dei partecipanti".
L’origine del Dojokun risale all’origine delle arti marziali.
Il primo Dojokun lo dobbiamo a Bodhidarma del monastero di Shaolin.
Col tempo e confortati dalle esperienze dei Maestri fondatori come Funakoshi, Kano e Ueshiba si è addivenuti a principi definiti per ogni arte e che aiutano il praticante a superare gli ostacoli interiori della Via del Budo. Si comprende che il Dojokun non è una mera elencazione di principi a cui sottostare, ma al contrario è una spinta pratica all’esercizio della giusta condotta.
Il Dojokun è il “trait d’union” tra la filosofia della Via e l’esercizio della forma con l’intento che le conoscenze acquisite con la pratica non rimangano solo a livello dell’intelletto ma che abbiano una valenza ed un contenuto nel comportamento. E’ il punto nodale della pratica spirituale senza la quale il Budo è solo forma. Non bisogna vedere i principi del Dojokun solo teoricamente ma come ispiratori all’esercizio di un giusto atteggiamento. I principi del Dojokun fanno sì che si possa perseguire un unico obiettivo: la crescita spirituale di un individuo (non divisibile, unito) in rapporto a se stesso, agli altri uomini, alla vita ed al mondo intero. In definitiva i principi che sono cinque danno informazioni riguardo alla collocazione dell’allievo nel mondo. Si deve probabilmente al Maestro Sukagawa di Okinawa il Dojokun del Karate adottato poi dalle varie derivazioni del Karate originario.
Si dice che il Dojo Kun sia stato stato introdotto nella tradizione del Karate per garantire la condotta corretta dei suoi praticanti e che fosse considerato una sorta di comandamento da rispettare anche al di fuori dell´ambiente proprio del Karate.
Nota: La formulazione in lingua giapponese viene scritta in caratteri romani con le frasi sotto riportate, la cui pronuncia naturalmente è influenzata dal fatto che i caratteri giapponesi KANJI (ideogrammi) non sono culturalmente traducibili in termini grammaticali convenzionali e quindi l´esposizione è da considerarsi esclusivamente fonetica.
Inoltre, poiché il KANJI esprime un concetto e non una parola, ogni frase può assumere sfumature diverse nell´interpretazione, pur mantenendone inalterato il significato DOJO KUN (DO = via, strada da percorrere - JO = luogo - KUN = regola, dovere).

D O J O K U N
1 -人格完成に努むること - Hitosu Jinkaku kansei-ni tsutomuru koto
2 -誠の道を守ること - Hitosu makoto no michi o mamoru koto
3 -努力の精神を養うこと - Hitosu Doryoku no seishin o yashinau koto
4 -礼儀を重んずること - Hitosu reigi o omonzuru koto
5 -血気の勇を戒むること - Hitosu kekki no yu o imashimuru koto



LE CINQUE REGOLE DEL KARATE

1- HITOTSU, JINKAKU KANSEI NI TSUTOMERU KOTO
人格完成に努むること
(gincacu canseini sutomurokoto)
Cerca di perfezionare la tua anima
(Il karate é mezzo per migliorare il carattere)
(Ricerca la perfezione nel carattere)
(Dobbiamo cercare un costante perfezionamento interiore)

DOBBIAMO IMPEGNARCI A RAGGIUNGERE LA PERFEZIONE DEL CARATTERE

Notare che a questo ideale si dà assoluta priorità.
Non forza, velocità, abilità tecnica o nel combattimento, ma la perfezione del carattere dello studente.
Il Maestro Funakoshi insiste molto su questo concetto nei suoi scritti.
Racconta la storia in cui fu arbitro di una contesa tra due villaggi.
Mantenendo la mente fredda e agendo in modo controllato e razionale egli propose una soluzione alla contesa, accettata di buon grado dalle due parti, evitando così atti di violenza.
Egli scrive che questa è la prova che un buon allenamento nel karate è il mezzo per migliorare il proprio carattere e solo così si possono cercare soluzioni pacifiche ai problemi.
Sforzati di esercitare non solamente il tuo corpo, ma affronta le tue inquietudini interiori con la stessa forza, con la quale per mezzo dell’esercizio riesci ad appianare difficoltà esteriori.
Rifletti, medita e metti in pratica. Il contatto con la tua Coscienza ti aiuterà a fare sempre la cosa giusta.
L’allenamento interiore è l’esercizio più difficile ed importante del Karate-Do non dividerlo mai dall’esercizio fisico.
JIN: è l’immagine di un uomo che sta ritto in piedi.
KAKU: originariamente impiegato come immagine di un grande albero. L’idea è quella di raggiungere una grande altezza, qualche cosa di elevato e per estensione quello di conseguire uno status o di stabilire uno standard.
KAN: è associato all’immagine di perfetto.
SEI: significa divenire. L’idea di fare esattamente questa cosa, di fare giusto, di essere formato in modo proprio.
TSUTOMAMURU: storicamente ha agito freneticamente per esprimere il concetto di muscolo, combinato con forza / sforzo. Assieme esprimono l’idea di fare un grande sforzo fisico, dare l’idea di fare il proprio lavoro, il proprio dovere.

In definitiva: un uomo che sta in piedi, punta verso l’alto, come colui che si eleva dalla condizione umana verso il cielo, verso la meta più elevata. E’ un obiettivo che bisogna tenere costantemente presente tutta la vita.
Possiamo approfondire il significato andando a prendere le frasi del M° Funakoshi nel SHOTO NIJIU KUN o con altri frasi di vari maestri che racchiudono grandi significati pieni di valori e di riflessioni.
• Sta a significare che non è sufficiente solo la perfezione a livello corporeo o della forma del karate.
• Richiama a rendersi conto di numerosi aspetti devianti del carattere: egoismo, presunzione, autostima eccessiva o vittimismo.
• E’ necessario questo lavoro pratico dato che il corpo ha una fine mentre lo spirito ed il carattere possono continuare a crescere.

Questo principio come abbiamo detto ne racchiude altri:

• L’allenamento austero dello spirito è l’allenamento austero della tecnica
Ichi michi issho (Un giorno, una vita ): lo scopo della vita non è perseguire il benessere economico, questo crea ansia e preoccupazioni e ci si allontana dal senso della vita. Non si pratica per uno scopo: è nell’arte stessa lo scopo.
Meikyo Shi sui (Uno specchio limpido riflette la verità): è necessario essere trasparenti e limpidi, essere uomini di onore. La disonestà fa perdere onore e rispetto. Ciò che diciamo deve essere mantenuto e seguito da un’azione giusta.
Kenjo no bitoku (La forza reale origina dalla modestia ): nonostante molti perseguono il potere e così porsi sugli altri a proprio vantaggio questo non realizza una vera forza. L’autoaffermazione nasconde pozzi neri e vuoti da colmare. Chi persegue le proprie manie di grandezza, immature offre ai non dormienti solo un quadro interiore estremamente primitivo, tanto più nocivo se radicato in dirigenti politici dove allora la situazione si colora di pericolosità. Non è forza reale invece la modestia come antagonista dell’Ego fa scaturire la forza interiore, ci permette di scacciare i demoni dell’arroganza e della superbia.
La modestia ci porta alla pace ed all’armonia perchè consapevoli di qualcosa che ci unisce come essere umani.
Todai moto Kurashi (L’oscurità è ai piedi del faro): tutti vorrebbero essere il faro che illumina gli altri e questo ci riporta al concetto del potere solo che molti non si rendono conto che ai loro piedi per quanto si ergono, alla loro base c’è l’oscurità. Siamo in un mondo di falsi fari che trasformano gli istinti più bassi come forieri di luce. Una luce forte proviene dagli strati più intimi della propria persona.
Ken Zen ichi (La spada e lo Zen sono una sola cosa ): si deve al monaco Takuan nella sua famosa lettera detta Taiaki e inviata a Yagyu Munenori rappresentante della Yagyu ryu questa frase che sta ad indicare come la vera unità si deve alla fusione di Ri e waza, cioè di spirito e tecnica. Takuan intendeva dire che solo l’apprendimento della parte corporea sarebbe stato un insuccesso, perché la maggior parte degli adepti non è disposta allo spirito. Anche qui si propugna l’idea di liberarsi dal proprio Io affinché non vi sia più Zen e Ken allora apparirà sia il Ken che lo Zen perché la spada è rivolta ad uccidere il proprio Io. Non si tratta di vincere avanzando o indietreggiando, ma di vincere conservando la propria posizione, e questo è possibile solo svuotandosi dai desideri come una montagna inamovibile.
E conclude:“In uno spirito totalmente privo di pensieri ed affanni neanche una tigre saprebbe dove porre gli artigli”.
Ri no shugyo, waza no shugyo (Studio dello spirito e studio della tecnica) – (l’allenamento austero dello spirito è l’allenamento austero della tecnica): superando l’Io e non facendosi fagocitare dai moti interni (emozioni, desideri, pregiudizi ) si è liberi, si ha una consapevolezza inconscia che vale a dire una incoscienza inconsapevole. Qui nasce il vero guerriero a mio avviso. La vera maestria in un’arte è se si è padroni dello spirito e della tecnica Superando l’Io e non facendosi fagocitare dai moti interni (emozioni, desideri, pregiudizi ) si è liberi, oggi questa è la differenza tra Budo e sport. Nel Budo la perfezione tecnica (Shosa ), almeno in Giappone non viene apprezzata particolarmente. La dimensione di cui parliamo è diversa. Richiede un lungo periodo di maturazione spirituale sotto la guida di un maestro della Via. Solo così si può capire “un’intera vita senza limiti“.
Nel Budo c’è un’espressione che è “ikken-hissatsu “: indica la tecnica ben affinata, ma significa “uccidere in un sol colpo“. Non s’intende l’atto materiale, ma nell’interpretazione filosofica il Maestro utilizza tale espressione per indicare l’azione che origina dall’agire puro, autentico. Attenzione perché è una meta irraggiungibile dato che si lega al concetto di assoluto, al superamento dell’ultimo limite. ikken-hissatsu nella pratica include sempre il Sundome (attenzione), cioè la capacità di fermarsi due centimetri prima di colpire l’obiettivo.
Hikken-hissatsu e Sundome sono i due poli della capacità d’azione dell’uomo.
Efficacia e controllo vanno a braccetto. L’esecuzione di tecniche prive di efficacia o concentrazione induce ad un atteggiamento interiore sbagliato.
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fvi